Link building o link earning: quale strategia adottare?
Nel corso dell’evento Advanced SEO Tool, organizzato dallo staff di GT Idea il 27 marzo a Bologna, un intervento dell’ottimo Marco Quadrella dedicato ai principali tool per l’analisi dei backlink ha riportato alla luce un discorso che avevo intrapreso con i miei colleghi qualche settimana fa: testimonianza, questa, che gli eventi e la discussione sono sempre stimolo e spunto per riflessioni e occasione per cercare di vedere il proprio mondo, professionale e non, da diversi punti di vista.
Il discorso che ha ravvivato una grigia e piovosa giornata in ufficio verteva sui link: si deve continuare a parlare di link building o è giusto concentrarsi solamente sul link baiting / link earning? La prima preoccupazione deve essere la qualità del contenuto o è necessario mediare tra esigenza di ottenere dei link e necessità di produrre materiale testuale o multimediale di qualità?
A Bologna, nel corso dell’intervento, Marco ha introdotto la categorizzazione dei backlink della concorrenza con il criterio della difficoltà di replicazione; penso si possa parlare di tali categorie a prescindere dal link profile dei concorrenti e quindi sia possibile categorizzare questi metodi per difficoltà di acquisizione. Queste le categorie che ha menzionato Marco durante il suo talk:
A) Link quasi impossibili da replicare – alta difficoltà di acquisizione
- link frutto di link earning;
- partnership;
- link editoriali.
B) Link difficili da replicare – media difficoltà di acquisizione
- guest posting;
- elenchi curati di risorse;
- forum di settore moderati.
C) Link facili da replicare – facili da acquisire
- comunicati stampa;
- article marketing;
- sottoscrizione in directory;
- scambio link.
La prima considerazione che emerge è sulle “scuole di pensiero”, già affrontata anche da Marco nel suo talk.
La “new school” o scuola americana (così amo chiamarla, essendomi formato sul blog di SEOMoz su questo modello), quella che considera la SEO come un ramo della macrodisciplina dell’Inbound Marketing, tende ad escludere il termine “link building” a favore del “link earning” o “link baiting”.
Per questa scuola di pensiero l’unico metodo per ottenere link validi (e il termine “validi” esclude che si parli di metriche o parametri ma di accessi – e accessi interessati, “profilati”) è produrre contenuto che generi interesse e buzz e che sia facilmente condivisibile: video, infografiche, articoli particolarmente interessanti che si prestino ad essere linkati sono un sicuro viatico per costruirsi una discreta link popularity.
Questo tipo di link è sicuramente il più performante, il più scalabile e il più stabile, ed è inoltre a minor rischio svalutazione alla luce dei prossimi aggiornamenti algoritmici di Google (si pensi al Penguin Update del quale è prossimo il rilascio di un nuovo aggiornamento).
La link building classica, “old school”, si basa principalmente su modalità appartenenti alle categorie B e C, in particolar modo directory, article marketing e comunicati stampa. Il valore di questi link è spesso minimo, soggetto a variazioni nel tempo a causa degli update di Google e, nei casi in cui ci si comporta in maniera più spregiudicata (ad esempio parlando di article spinning) passibile di penalizzazione da parte di Big G.
Una parentesi a parte merita il guest posting, secondo me a metà strada tra la categoria A e la categoria B a seconda dell’uso che se ne fa: eccellente quando la stesura dei contenuti è curata, rischia invece di essere deleterio quando l’articolo assomiglia a un vuoto pubbliredazionale.
L’etica, si sa, è soggettiva e individuale, anche se nel caso del nostro lavoro è sempre bene ricordarsi che si sta giocando con dei clienti che pagano per avere un risultato concreto e mettere a rischio i loro affari con dei comportamenti poco trasparenti è assai poco professionale. Ma non è solo l’etica, purtroppo, a guidarci nella scelta della strategia da adottare: spesso ci si ritrova, per mancanza di tempo o di risorse o su clienti particolarmente low-budget, a concentrarsi sulla categoria B e, turandosi il naso, anche sulla C, se non altro per cercare di “pareggiare” il link profile dei competitor.
Può succedere, inoltre, che si sia costretti ad imboccare strade che non vorremmo quando ci troviamo a parlare di argomenti di cui non siamo particolarmente competenti e che non sono “appetibili” per collaborazioni o lavori particolarmente brillanti nel contenuto (qua dal Lago d’Iseo, ad esempio, viene spontaneo pensare al tipico “tondino d’acciaio” bresciano).
A mio avviso la chiave di volta può essere la creatività: è la creatività l’unica arma segreta low-cost che può sopperire alla mancanza di risorse e che ci può aiutare a lavorare sulle opportunità che garantiscano accessi prima che forza all’interno nelle SERP, con un approccio user-driven prima che Google-driven. La creatività va ricercata e allenata, ma ci permette di essere un investimento ad alto ROI per i nostri clienti.
Concludendo: esiste un approccio unico per tutte le situazioni e tutti i clienti?
La mia risposta è no. Esiste però, a mio parere, una strategia ideale alla quale è possibile tendere: prendere quanto di buono presentano i due approcci (link earning e link building) e cercare di armonizzare le necessità con quelle del cliente. Forse è un’utopia, ma è un idea che ho mutuato dalla metodologia didattica della pallacanestro: come nel basket si deve sempre tendere all’idea di movimento tecnico perfetto per raggiungere l’eccellenza, nella SEO è altresì utile cercare di seguire un modello strategico che tenda il più possibile alla categoria A (includendo anche il guest posting) per ottenere successo.
Che poi i tondini d’acciaio ci costringano a spulciare l’elenco delle directory dipende dall’esperienza e dalla creatività.